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Ponte sullo stretto ancora tu? Ma non dovevamo vederci più? Il mio intervento alla Camera

 

Con una mozione risalente all’estate scorsa, l’ex ministro dell’Ambiente e attualmente deputata Stefania Prestigiacomo ha chiesto al Governo – e a quest’Aula per il relativo voto – di riconsiderare la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina, opera che a suo avviso – cito testualmente – «può rappresentare una grandissima occasione di sviluppo per la Calabria, la Sicilia, e per tutto il Paese».

La deputata Prestigiacomo e i suoi colleghi cofirmatari della mozione fanno leva sull’emergenza economica determinata dalla pandemia del Covid-19 e citano non meglio precisate stime, in base alle quali con questo tipo di politiche si creerebbero almeno 50mila posti di lavoro. Bisogna ammettere che l’argomento dell’incremento dell’occupazione è in un tempo interessante e d’impatto diretto. Nessuno rimane insensibile o distratto davanti all’arrivo della recessione, al radicarsi della paura e dell’incertezza, alle previsioni correnti circa la perdita di posti di lavoro, soprattutto nel Mezzogiorno.

A tale riguardo, l’associazione Svimez ha avvertito che, entro la fine dell’anno, nel Sud potrebbero svanire oltre mezzo milione di impieghi per effetto del Covid e del conseguente lockdown. Questa sarebbe una catastrofe, tanto più in un’area del Paese già in difficoltà, segnata e repressa dalla pervasività delle mafie, dallo spopolamento inarrestabile, dalle disparità strutturali, economiche, sociali e di presìdi e servizi primari.

Siamo consapevoli di questo rischio e non certo inerti davanti alla necessità di rilanciare l’economia del Mezzogiorno. Ci tocca però ribadire alcuni concetti ormai universalmente noti. Tanti per cominciare, le mega-opere come il ponte sullo Stretto non sono il modo più immediato ed efficace per creare occupazione; le medesime opere, poi, sono ad alta intensità di capitali e a bassa intensità di lavoro: detto in soldoni, fanno girare molti soldi ma sul territorio ne restano pochi; infine, non è assolutamente detto che – a parte una poco significativa e temporanea quota di manodopera locale – a costruire materialmente il ponte sia personale specializzato proveniente dalle regioni Sicilia e Calabria.

Insomma, se vogliamo parlare di opere che creano occupazione, dobbiamo rivolgere lo sguardo altrove: senza dilungarmi troppo sull’argomento, mi limito a ricordare che abbiamo spiegato più volte in quest’Aula quanti benefici anche in termini occupazionali portano ad esempio la manutenzione e l’ammodernamento delle infrastrutture viarie e ferroviarie oppure, per fare un altro esempio, la grande opera della messa in sicurezza del territorio.

Ma torniamo alla mozione della collega Prestigiacomo, che sintetizza una storia, quella del cammino per l’inveramento del ponte sullo Stretto, che devo – qui – necessariamente riprendere, perché ci consente di ribadire e fissare, ove non sufficientemente chiari, orientamenti e posizioni politiche a riguardo.

L’onorevole Prestigiacomo ha letteralmente rammentato che il ponte fu – cito con il massimo scrupolo – «fortemente voluto dal presidente Berlusconi, con la legge obiettivo n. 443 del 2001, in quanto considerato progetto essenziale per il Mezzogiorno e per l’Italia». Perciò esso venne – cito ancora Prestigiacomo –«ricompreso tra le infrastrutture strategiche da inserire tra gli interventi prioritari». Come se non fossero, piuttosto, strategiche le opere necessarie per rendere degna di un Paese civile la rete ferroviaria e quella stradale in Sicilia e in Calabria.

Ancora, a proposito del Ponte sullo Stretto l’onorevole Prestigiacomo spiega che «le vicende politiche degli anni successivi hanno portato ad abbandonare il progetto di questa grande infrastruttura viaria che continua a rappresentare una occasione unica per contribuire al riequilibrio del Mezzogiorno e per il Paese tutto». Tra parentesi, non mi risulta che da Forza Italia sia stato espresso pari ardore meridionalistico a proposito dell’urgenza, per contribuire al “riequilibrio del Mezzogiorno”, di modificare i criteri di ripartizione del Fondo sanitario. Ribadisco di sguincio che il criterio prevalente attuale – cosiddetto del «calcolo della popolazione pesata» – comporta un trasferimento, alle regioni meridionali, di somme di molto inferiori a quanto necessario alla cura dei malati. Alla sanità della mia Calabria, per esempio, per questa via ogni anno vengono sottratti almeno 150 milioni. Dal canto suo, la Regione ne spende 300, in ragione annua, per l’emigrazione sanitaria. Ma questa è un’altra questione e non vorrei essere accusato di benaltrismo.

Inoltre, la collega deputata Prestigiacomo ha riassunto che un primo “stop” al ponte sullo Stretto era arrivato già dal Governo Prodi, per essere ripreso dal successivo Governo Berlusconi, cassato dal Governo Monti e timidamente riconsiderato dal Governo Renzi.

Nel 2013 avvenne la messa in liquidazione della società concessionaria, Ponte sullo Stretto di Messina spa.Ciò atteso che con delibera CIPE del 2012 era stata disposta la riduzione totale del contributo assegnato alla medesima società e l’intervento non veniva inserito fra quelli indifferibili.

In un servizio del settimanale Panorama, risalente all’ottobre 2014, si fa menzione dell’esborso pubblico per la realizzazione del ponte, secondo la fonte giornalistica pari a 350 milioni di euro, pur senza tracce dell’opera in parola.

In un dossier di Italia Onlus, Legambiente e Wwf, dedicato alle priorità dei trasporti nel Mezzogiorno, già si richiamava l’attenzione sulle criticità del ponte sullo Stretto, con riferimento agli finanziari, cioè ai gravami a carico dello Stato; al traffico veicolare previsto, non compensativo dell’investimento; all’impatto ambientale, alle aree tutelate interessate e alla parallela inadeguatezza, in Calabria e in Sicilia, delle infrastrutture di collegamento: ferroviarie, portuali e stradali.

Nell’analisi costi-benefici presentata dal professor Marco Brambilla – del Politecnico di Milano – a un convegno su specifiche del ponte in argomento, si evidenziano in conclusione alcuni aspetti essenziali.

Per quanto concerne l’analisi economica, l’indicatore di convenienza – ha puntualizzato il docente del Politecnico – rimane fortemente negativo se riferito a uno scenario con concessione trentennale, mentre si ha un’inversione unicamente con eccezionali condizioni favorevoli nell’arco di 50 anni.

In merito alla valutazione finanziaria, ha rimarcato il professor Brambilla, «i risultati ridimensionano la fiducia che sembra valere per molte opere pubbliche circa il ruolo della finanza di progetto», cioè il ricorso a capitali privati.

Oltretutto, l’opera avrebbe un impatto ambientale devastante, peraltro in una delle zone più soggette a terremoti dell’intero del pianeta. Ciò come se non fossero serviti i tragici sismi di Messina e Reggio Calabria del 1908 e del 1783. Nell’indagine tecnica del ponte sullo Stretto figurano, infatti, i pesanti rischi in caso di terremoti. Paradossalmente, poi, nella relazione geologica è rinviato al progetto esecutivo l’aggiornamento dei profili sismici di quello preliminare.

Parliamo di un’infrastruttura con attraversamento aereo delle due sponde mediante un sistema di torri alte 392 metri, appoggiate su coppie di pilastri di 55 e 48 metri di diametro alla fondazione. Completano l’opera dei collegamenti ai massicci blocchi di ancoraggio: di 291.000 mc in Sicilia e di 230.000 mc in Calabria. Vanno poi aggiunte colossali rampe di accesso, mentre la campata unica dell’opera è di 3.300 metri, con impalcato corrente, stradale e ferroviario di 60 metri. In sostanza si andrebbe a ridisegnare lo scenario naturale, che assumerebbe i contorni della baia, piuttosto che quelli dello stretto.

Soprattutto, lo Stato ha speso in 30 anni più di 300 milioni di euro per tenere in vita la concessionaria Stretto di Messina. Questo capitale, colpevolmente disperso, direi anche dolosamente, non ha avuto alcun ritorno per la collettività: il Sud è rimasto sganciato dal resto dell’Italia.

Quest’ultima è una verità che viviamo ogni giorno noi meridionali, sia per i trasporti interni che per le infrastrutture necessarie alle attività di impresa, al turismo e agli spostamenti in generale.

Oggi, poi, le merci sono movimentate in prevalenza per mare. Si risparmiano costi e tempo. Di più, il governo ha già stanziato risorse per interventi infrastrutturali importanti, che consentirebbero a territori meridionali ancora isolati di superare condizioni di grave svantaggio. Penso alla Statale jonica calabrese e al rilancio del porto di Gioia Tauro, cui l’esecutivo nazionale sta prestando costante attenzione, intanto grazie all’impulso e all’impegno di rappresentanti del MoVimento 5 Stelle: Danilo Toninelli prima e Giancarlo Cancelleri adesso.

In merito alla mia terra, la Calabria, qui rappresento l’indirizzo politico già condiviso con i colleghi parlamentari del Movimento 5 Stelle eletti, come me, nella regione. Un tempo, lasciatemi dire, la Calabria si chiamava «Italia». La mia terra porta con sé quella cultura di sapienza che, nelle sue Epistole, Orazio riassumeva con il noto «Graecia capta ferum victorem cepit et artes intulit agresti Latio», che significa «la Grecia, conquistata, conquistò il selvaggio vincitore e le arti portò nel Lazio agreste».

A noi, come per altri versi ai siciliani, è rimasta dentro quella capacità di ragionamento che risale alla scuola pitagorica di Crotone, alla Magna Grecia, al pensiero scientifico che in quella temperie ebbe a svilupparsi fecondamente.

Anche per questo, dunque, io e gli altri parlamentari calabresi del Movimento 5 Stelle riteniamo che sugli investimenti a beneficio dei trasporti ci si debba concentrare sul rafforzamento della viabilità̀ interna, al momento gravemente compromessa dalla mancanza di infrastrutture moderne ed efficienti.

Per rendere un buon servizio ai cittadini del sud del Sud, è necessario il potenziamento della mobilità nel versante ionico e in quello tirrenico. Giusto per fare qualche esempio, ad oggi non vi sono infrastrutture ferroviarie ad alta velocità nè da una parte, né dall’altra della Calabria. Addirittura, la ferrovia ionica non è dotata nemmeno del servizio dell’elettrificazione. Inoltre essa è costeggiata da una strada statale, la 106, tristemente nota come «strada della morte».

Ecco perché crediamo che le risorse del Recovery fund, per quanto riguarda le infrastrutture calabresi – e aggiungo siciliane e meridionali più in generale – debbano essere utilizzate per perseguire degli obiettivi chiari. Nello specifico della Calabria alludo al miglioramento della ferrovia ionica e di quella tirrenica, alla realizzazione di una vera strada statale anche per la fascia ionica calabrese, nonché al potenziamento delle direttrici trasversali che attraversano l’entroterra per collegare i due versanti.

Voglio aggiungere degli esempi concreti. Occorre provvedere alla sistemazione degli ultimi 70 chilometri dell’autostrada A2, ex A3.

Ancora, bisogna puntare alla Riqualificazione della Statale 107 nel tratto Cosenza-Crotone, in maniera da consentire l’uscita della Sila Grande – quella di Gioacchino da Fiore, peraltro “cantata” da Goethe – dall’isolamento, da permetterle un adeguato e lo sviluppo del turismo.

Si dovrebbe, insieme, provvedere alla sistemazione della ferrovia jonica da Catanzaro a Rossano, per lo spostamento delle merci – da Gioia Tauro dirette verso est – e la contestuale ripresa dei porti di Crotone e Corigliano.

Si dovrebbe considerare, quindi, il raccordo tra il porto di Gioia Tauro e lo svincolo autostradale della stessa città, in modo da evitare che i Tir attraversino l’abitato.

Non per ultimo, andrebbe completata la cosiddetta «Trasversale delle Serre».

Bisognerebbe inoltre utilizzare le risorse disponibili per i mezzi pubblici di trasporto intra-regionale, privilegiando i treni.

Riteniamo che già solo raggiungere questi obiettivi significherebbe cambiare la storia dei nostri territori, renderli più vivibili e anche “appetibili” dal punto di vista degli investimenti. Sappiamo però che si tratta di una sfida difficile, che richiederà anni di lavoro e investimenti miliardari. Per fare ciò, bisognerà tra l’altro rivedere i criteri relativi all’individuazione delle infrastrutture su cui investire.

Mi riferisco in particolare ai criteri aggiuntivi stabiliti dalle linee guida a integrazione di quanto contenuto nella proposta di regolamento della Commissione europea.

Se, infatti, l’obiettivo prioritario resta quello di incrementare gli investimenti pubblici nel Mezzogiorno, al fine di colmare il divario infrastrutturale che rallenta la crescita di quei territori, non è pensabile valutare come elemento preferenziale la cantierabilità dell’opera, perché scarse, se non pressochè inesistenti sono le opere cantierabili al Sud. Ciò vanificherebbe, tra l’altro, la regola del 34% delle risorse da assicurare al Meridione.

Non riteniamo prioritario in questo momento investire risorse economiche e intellettuali in un’opera del genere. Crediamo, invece, che prima si debba pensare a potenziare – od anche a costruire ex novo – tutta una serie di collegamenti interni per Calabria e Sicilia, posto che nelle due regioni ve ne sono di insufficienti, se non del tutto inesistenti.

Abbiamo il dovere di portare la Calabria e la Sicilia alla pari con il resto d’Italia. Ciò richiederà un impegno pluriennale notevole.

Soltanto allora, avremo lasciato alle prossime generazioni la possibilità di provvedere, all’occorrenza, a collegare le due sponde dello Stretto; magari dotando il nostro Paese di un gioiello ingegneristico all’avanguardia. Ma non crediamo sia questo il momento storico per farlo, perché vi sono altre priorità, cui non vorremmo sottrarre risorse ed energie preziose.

In sintesi, il ponte sullo Stretto non è affatto vantaggioso e, con le risorse disponibili, si può dare impulso ad uno sviluppo della Calabria, della Sicilia e dell’intero Meridione, anche in un’auspicabile prospettiva federalistica che coinvolga e riunisca tutte le regioni del Mezzogiorno.

Infine, per il Movimento 5 Stelle è essenziale concentrarsi sulle politiche di tutela ambientale e rivendicarle con forza, in un contesto in cui, nonostante la pandemia da coronavirus, si mantiene il forte istinto propagandistico di distribuire denaro a pioggia, senza una visione e un progetto di sviluppo sostenibile.

Per troppo tempo, infatti, negli anni il potere pubblico ha favorito alla luce del sole gli interessi delle “cricche”. Mi riferisco, ad esempio, agli affari sugli inceneritori, sulle centrali a biomasse e sulle discariche private, che non hanno permesso, specie in Calabria, l’avvio del riciclo e del riuso dei rifiuti, lo sviluppo delle energie verdi e della green economy, a tutto discapito della creazione di lavoro vero, di indotto e di benessere comune.

In altri termini, il governo e le autonomie territoriali sono chiamati a definire, alla luce delle risorse del Recovery Fund Plan una programmazione sulla base dei bisogni e fabbisogni delle diverse aree del Paese, che necessita di scelte politiche attente e di lungo respiro.

Non c’è più tempo per la propaganda elettorale; per i richiami, forse inconsapevoli, alla fantascienza di Giulio Verne; per la riproposizione di fallimenti e sprechi immani come – nella fattispecie – il ponte sullo Stretto di Messina, di fatto argomento di distrazione di massa e di ottundimento della coscienza politica. Un classico di quella retorica, fumosa ed eterea, con cui le lobbies politiche, industriali e finanziarie hanno sottratto le risorse degli italiani, del loro lavoro, della loro vita.

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